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Immagine del redattoreElisabetta Giuliani

ODISSI, la danza onirica dei sentimenti

Questa settimana ho avuto l’occasione di partecipare ad uno stage di Odissi, una danza indiana che racchiude in sé il teatro e il sacro. Attraverso i suoi gesti, chiamati mudra, l'Odissi è un “racconto mitologico” che narra le azioni e i comportamenti umani, avventurandosi tra stati d’animo complessi, detti rasa, e passioni dell’anima.

E' stato quindi con grande piacere che ho accolto l'invito di Mahina Khanum, danzatrice, coreografa e istruttrice di danza Odissi a Parigi. Mahina mi ha guidata passo dopo passo nei "misteri graziosi" di questa danza, un'arte che, come la poesia, indaga e esplora i nostri sentimenti, detti bava, regalando a chi la pratica il piacere puro della Bellezza.


A settembre a Parigi, in occasione del Ganesh Chaturthi, e della recente Festa di Ganesha a Porte de la Chapelle, questo viaggio con Mahina nei segreti e nei gesti dell’arte Odissi, non poteva non essere dedicato al tema del Dio-Elefante, Ganesha, dio degli inizi e colui che “rimuove gli ostacoli”.



Un vero e proprio atto psicomagico, dunque,

per affidare a questo dio benevolo la ripresa delle nostre attività, dopo la lunga pausa estiva.



Odissi, la storia di tutte le storie

E' possibile ritrovare l'essenza della cultura indiana già praticando le sue sette danze classiche: il Bharata Natyam, forse la più antica, il Kathak che ha ispirato il flamenco spagnolo, la danza Manipuri, quella Kathakali, potente e “maschile”, impregnata di energia Yang – in questa danza, infatti, anche i ruoli femminili sono impersonati dagli uomini - , la danza Mohini Attam, femminile e vicina al culto della madre terra, il Kuchipudi e, per finire, la danza Odissi, sinuosa e sensuale.


Eseguita nei templi dell’antica India del nord, l’Odissi è una danza rituale nata intorno al II secolo a.C., come lo attestano le grotte Jaina di Udayagiri o il santuario buddhista di Ratnagiri.


Il termine Odissi significa “dell’Orissa” e fa riferimento allo Stato dell’Orissa, una regione dell’India nord-orientale, crocevia di culture e religioni molto diverse tra loro. Considerata una danza sacra per molti secoli, l’Odissi ha poi subito una battuta d’arresto nel corso del XIX secolo, con l’arrivo della dominazione inglese. Ritenuta troppo licenziosa per il senso del pudore europeo, la pratica dell’Odissi venne screditata dalla neo-borghesia indiana, associandosi alla prostituzione.


E' solo negli anni '20 che il movimento riformatore del Novecento recupera la danza Odissi e altre espressioni della tradizione classica, in nome di un’identità hindu nazionale. A partire da questo momento antropologi, artisti e intellettuali si interessano sempre di più allo studio dell’Odissi, decodificando antichi manoscritti e varie sculture nei templi, vere e proprie "mappe illustrate" di una gestualità sacra e perduta.

 

Odissi, principi e fondamenti

Come per tutte le danze classiche indiane, anche l’Odissi si basa su due elementi principali: Nritta e Abhinaya.


Il Nritta è una danza non-rappresentativa: i movimenti eseguiti servono a creare motivi più ornamentali che narrativi.


Nello Natya Shastra, ad esempio, sono codificate 10 principali posture del corpo, 36 della mano, 9 del collo e 13 della testa. Bisogna poi coordinare in modo preciso il battito dei piedi, i gesti delle mani (mudra), i movimenti del corpo, delle braccia e della testa, ma anche degli occhi, del collo e delle sopracciglia, sincronizzandosi con il ritmo di una percussione.


L'Abhinaya, invece, è la mimica stilizzata : i gesti e le espressioni facciali sono utilizzati simbolicamente per interpretare una storia (quasi sempre sacra, o d’amore). Poiché si tratta di una danza sacra, il danzatore di Odissi deve quindi saper comunicare i Navarasa cioè i nove sentimenti fondamentali :


1. Shringara - amore e bellezza

2. Hasya - gioia, giubilo

3. Bhibatsa - disgusto

4. Rudra - collera

5. Shanta - pace, serenità

6. Vira - coraggio, valore

7. Bhaya - paura

8. Karuna - compassione

9. Adbhuta - meraviglia, stupore


Tra i temi preferiti dell'Odissa ritroviamo le divine storie d’amore di Radha e del Dio Krishna, storie di Fiamme Gemelle. Uno spettacolo classico di danza Odissi, ad esempio, puo' contenere uno o due Ashtapadis (poema di otto distici) dal Gita Govinda di Jayadeva, che descrive, attraverso una appassionata poesia sanscrita, la complessa relazione tra Radha e il suo Signore.


Altro punto cardine dell'Odissi è l’uso ripetuto del tribhangi ovvero il “tre volte deviato”, una particolare postura che piega il corpo in tre punti opposti fra loro, come in una sorta di spirale...



Nell'Odissi il corpo umano è infatti studiato in termini di tre inclinazioni possibili e il peso del corpo passa continuamente da un piede all'altro.


Questa posizione, combinata alla caratteristica “flessione del fianco”, rende l’Odissi una danza molto complessa da eseguire. Una sfida costante per i muscoli del corpo, che devono mantenere grazia e fluidità.


Non a caso la danzatrice di Odissi era addestrata sin dalla più tenera età, offerta poi in sposa al dio protettore all'inizio della pubertà.


Detto questo, contrariamente alla tradizione occidentale, in India la danzatrice, detta Devadasi, non fu mai “vergine sacra”, ma piuttosto “amante sacra”, talvolta iniziatrice sessuale.


Niente è lasciato all'improvvisazione. La stessa vestizione è un atto rituale, psicomagico, e segue una sequenza di gesti e azioni ben codificata. Gli accessori utilizzati possono essere solo quelli tradizionali, tramandati da generazioni di Devadasi. Introdurre un elemento di novità nel costume è infatti considerato un sacrilegio.


La danza della Devadasi era, dunque, tanto erotica quanto spirituale. Soltanto il sacerdote che scandiva il tempo con uno strumento a percussione poteva assistere a questa offerta devozionale al dio.


Il passo fa crescere nelle membra l'ansietà del cammino, parole impazienti risuonano nell'animo al ritmo della danza sotto la serra.

- Rabindranath Tagore


 

Scopri L'intruso, una danza Odissi

e una storia d'amore millenaria

in questo video-racconto di Mahina Khanum



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