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Inno alla gioia. (Come mi sono liberata dalle false credenze).

Sono anni che ci giro attorno. Anni che progetto, costruisco e distruggo. Sono sempre stata, per me stessa, il più grande sabotatore. Come quella scimmietta che non vede, non sente e non parla, ho vissuto la maggior parte della mia vita mettendo abilmente a tacere i miei desideri più profondi... Fino a che ho detto basta.



La mia storia non ha nulla di straordinario. Se non il fatto di essere di una straordinaria banalità. Sono nata nel Sud Italia, in una famiglia matriarcale in cui le donne sono sempre state tutto, e gli uomini poco e niente.


Da piccola, ho subito capito che da me ci si aspettava molte cose.

Prima di tutto, era assolutamente necessario che io facessi il mio dovere. Questo concetto - quest'imperativo categorico "TU DEVI"! - è arrivato a me prima di ogni altra nozione. Fare il proprio dovere significava, in buona sostanza, alleggerire la vita delle altre donne. Delle altre Madri. Perché "essere madre" era un peso, altra nozione che ho presto integrato.


In questo faticoso esercizio del dovere, poi, era importante che io rendessi la mia spiccata sensibilità un po' più tollerabile per il resto famiglia: "non piangere mai, non lamentarti mai, fai il tuo dovere e comportati da adulta."


Cosi', sono diventata la figlia modello. Quella dei film, avete presente? Zero capricci, grandi risultati. Estremamente precoce, la scuola mi era fin troppo facile. Mi annoiavo ogni giorno, certo, ma restavo buona e zitta. Facevo il mio dovere. Voti eccellenti, premi, congratulazioni. I maestri decidono di farmi passare dei test psico-attitudinali, a quanto pare sono una "bambina superdotata"... Cosa vuoi fare da grande, mi chiedono? E tra tutte le piste suggerite, io sogno solo di essere libera. Mi dicono che questa cosa, che io chiamo libertà, non esiste. Che non c'è tempo da perdere, che devo costruire il mio futuro, mantenere il ritmo. Gli altri scelgono per me la via, e io li lascio fare.


Senza troppo entusiasmo, e con scarsa convinzione, termino gli studi in tempi da record. Non mi lamento, non faccio capricci, non ho grilli per la testa. Accumulo lauree, diplomi e borse di studio.


In un angolo della mia testa, mi dico che prima finisco, prima mi libero.

Anche gli amori e le amicizie seguono lo stesso rigido sistema. Non riesco a legarmi a niente e tutte le mie scelte sono dettate da un eccesso di razionalismo che uccide ogni spontaneità. Tornano in mente i moniti della famiglia matriarcale: "Non sposarti mai, non avere figli. Lavora per cose concrete e non perdere tempo in facili sentimentalismi ".

Gli uomini vanno e vengono. Come quelli della mia famiglia, nessuno sa lasciare una traccia. E io dimentico molto in fretta.


Intanto, mi affaccio al cosiddetto "mondo del lavoro"... un mondo che non mantiene le sue promesse di libertà. Anzi, fa proprio l'esatto contrario, imprigionando il mio corpo e il mio spirito in una schiavitù senza pari. Eppure, ogni esperienza professionale mi fa (ri)scoprire lati di me che credevo estinti, o addirittura inesistenti. Un senso acuto di ribellione contro le ingiustizie, il rovesciamento sistematico delle gerarchie, il bisogno di agire in difesa dei più deboli, l'importanza di proteggere lo spirito critico e creativo... tutte queste cose si fanno largo dentro me, amplificano la mia Coscienza, modificano sensibilmente il mio approccio alle cose. Io, la generalessa del Dovere, la martire silenziosa del "TU-DEVI"!, divento, poco a poco, il motore inarrestabile di ogni rivoluzione!


In più di dieci anni di vita professionale, infatti, ho cambiato lavoro quasi una volta all'anno. Dodici mesi sembrava essere il mio limite massimo di tolleranza.


Poi, arrivava sempre quel momento in cui non riuscivo più ad andare avanti.

Trovavo assurdo dover "chiedere il permesso" per viaggiare, ancora più assurdo dovermi giustificare per cinque minuti di ritardo. Mi era insopportabile gestire la mia équipe quando i progetti non mi piacevano più, o quando non ne capivo l'utilità; maledicevo ogni giorno di sciopero dei mezzi, di intemperie, di mestruazioni dolorose o di fastidiosissimi raffreddori in cui ero comunque costretta a trascinare il mio corpo dolente fino in ufficio. Iniziavo anche a detestare i miei weekend, perché era quello l'unico tempo che potevo dedicare a me stessa. Ogni contratto a tempo indeterminato mi ammalava di una frustrazione fatale, anch'essa indeterminata.


Burn-out, dicono. Depressione, forse? A Parigi, dove vivo e lavoro, sono tutti depressi. E' quasi un fenomeno di moda. Tutti sull'orlo di una crisi di nervi. "Prendi questa pasticca e non pensarci più", mi dicono i colleghi. Ma io no. Non prendo nessuna pasticca, piuttosto mi dimetto per l'ennesima volta, faccio un viaggio, mollo un fidanzato, cambio il colore dei capelli.


E questo "giochetto" l'ho tenuto in ballo per oltre dieci anni. Non avevo ancora capito che quella noia, quella frustrazione, non andava celata, dissumulata, costretta a "entrare nel sistema" come mi avevano insegnato a fare sin da piccola... ma doveva essere liberata in tutto il suo splendore. La creatività nasce in territori insospettabili, si nutre di piccole furie invisibili.


Cosi', ho fatto la lista dei miei tradimenti.

Mi sono accorta che la mia vita assomigliava a un disco rotto; ripetevo sempre le stesse identiche cose. A cosa serve dimettersi da un posto di lavoro, se poi te ne vai a cercare uno tale e quale appena una settimana dopo? A cosa serve avviare tutta una serie di progetti personali se poi non ci credi, o non vai fino in fondo a queste esplorazioni? A cosa serve parlare d'Amore, dedicarci libri e poesie, se poi fuggi dalle relazioni e dalle persone che si legano a te?


Ebbene, a questo giro non ci casco.

Questa volta ho liberato le mie contraddizioni, una ad una. Ho aperto la gabbia alla mia discontinuità. E qualche scelta l'ho fatta, si: lascio il mio lavoro, ma per creare la mia propria attività. Cambio casa e città, ma per essere più a contatto con la Natura, con la sacralità del silenzio, dei grandi spazi. Lascio andare i rapporti sterili e taglio i ponti con le relazioni inutili, ma per costruire autentiche storie d'amore, di passione e di amicizia. Mi libero dal senso di colpa, dalla genealogica tristezza delle donne delle mia famiglia, per diventare un giorno una buona mamma. E apro il mio cuore all'Amore, fidandomi pienamente della magia del Mondo.


Lo metto nero su bianco, nel giorno del mio compleanno, quando il Sole ritorna al nostro primo appuntamento. Ed è un inno alla gioia.
 

100 incantesimi e una pagina vuota

 


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